Senso di inferiorità, volontà di prestigio e integrazione sociale

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Senso di inferiorità, volontà di prestigio e integrazione sociale

Il senso di inferiorità (che non è un complesso fintanto che non sia chiaramente nevrotico) è universale. Tutti lo possediamo perché siamo esseri umani.
L’evoluzione della civiltà deve essere intesa, in una certa misura, come una sorte di compensazione, l’esito del grande sforzo dell’umanità per avere ragione della propria inferiorità.
Dal momento che tutti abbiamo un senso di inferiorità, non lo si deve considerare come qualcosa di anomalo in sé. Al contrario, insieme alla volontà di prestigio, ci fornisce la principale fonte di energia motivazionale.
Il problema sta nell’utilizzare questa energia non in uno sforzo egocentrico che distrugge la compagine sociale, bensì in un impegno costruttivo che contribuisce al benessere degli altri.
Ciò non toglie che un senso di inferiorità eccessivo porti a comportamenti nevrotici, perché viene dato all’io un desiderio di potere più forte del normale.
Più ci si sente inferiori, più disperatamente si lotterà per ottenere il predominio.
Il senso di inferiorità e la volontà di prestigio sono semplicemente due aspetti della stessa pulsione presente nell’individuo.
Possiamo pertanto dedurre che dietro una smodata ambizione si nasconda un profondo (anche se inconscio) senso di inferiorità.
Quello che viene chiamato “complesso di superiorità” è quindi semplicemente l’altra faccia di un sottostante senso di inferiorità: poiché l’io si sente inferiore, assume una speciale facciata di superiorità e si assicura che tutti lo notino.
In questo schema l’altrui umiliazione equivale al proprio innalzamento.
Ecco il piacere del pettegolezzo!
Tutti abbiamo sentito la tendenza a sminuire gli altri per accrescere il nostro prestigio personale.
L’individuo normale, tiene sotto controllo questa tendenza e mira ad orientare il suo sforzo verso un ambito sociale; il nevrotico invece, lo orienta in senso antisociale e usa gli altri come “gradini”, muovendo così la guerra proprio a quella struttura a cui deve la propria esistenza.
Occorre differenziare la normale lotta per il potere da quella nevrotica. Una normale ambizione deriva dalla forza, che è una funzione naturale dell’essere vivente; l’ambizione nevrotica deriva dalla debolezza e dall’insicurezza e trae soddisfazione dalla svalutazione degli altri e dal dominio su di essi.

Ciò fa capire che per una vita sana occorre coraggio. Quando riusciamo a trovare il coraggio, ci liberiamo dalla coazione del senso di inferiorità e non sentiamo più il bisogno di lottare contro gli altri.
La paura è una grande devastatrice dei rapporti umani.
Secondo il sistema adleriano, i più importanti valori, oltre al coraggio, sono l’interesse sociale e la cooperazione.
Attraverso un’espressione di sé socialmente costruttiva, gli individui sono in grado di diventare completi e realizzati.

Ma l’individualità, va forse contro l’integrazione sociale?
Per vivere con chi ci sta accanto spesso occorre inibire certe espressioni di individualità ma ad un livello più profondo non esiste incompatibilità: noi siamo uniti agli altri anche dentro di noi.

Come counselor ho potuto verificare che quanto maggiore è l’integrazione sociale raggiunta dal cliente, tanto più nell’insieme, egli realizzerà l’individualità unica che gli è propria.
Da questo principio della personalità, l’integrazione sociale, ricaviamo l’importanza per il counselor di aiutare i clienti ad accettare di buon grado la responsabilità sociale, dargli il coraggio che lo libererà dalla coazione del senso di inferiorità, e aiutarlo a orientare i suoi sforzi verso scopi socialmente costruttivi.

Liberamente tratto da L’arte del counseling – Rollo May

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