Quello che fa il counselor non è solo per counselor

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Quello che fa il counselor non è solo per counselor

Negli ambienti di lavoro cresce l’incertezza, l’ansia e il disagio, ed è sempre più evidente che molti non possiedono gli strumenti per affrontare il proprio cambiamento per utilizzarlo nell’attuale evoluzione. Fra le cause che scatenano lo stress, gli avvenimenti che avvengono sul lavoro sono i più significativi, ma se la vita in azienda ha ripercussioni nel privato, è anche vero il contrario. Quando l’individuo è in tensione, in ansia, frustrato, in stato di confusione, è indebolito nelle sue capacità lavorative e relazionali. Gli interventi organizzativi che l’azienda può mettere in atto non bastano da soli a risolvere i disagi personali del singolo individuo. Sicuramente la presenza di un counselor sarà positiva e di aiuto, ma non esclude l’importanza, o meglio, la necessità, che leader, manager, ma anche ogni singolo individuo, possiedano le qualità per essere in grado di offrire aiuto e supporto alle persone che fanno parte del proprio gruppo di lavoro e in famiglia. Saper cogliere i primi segnali negativi e saper dare aiuto per il disagio emotivo, o supporto e collaborazione nella soluzione dei problemi, è un’abilità che ogni individuo dovrebbe avere. Ascolto, empatia, considerazione, rispetto, apertura, non sono esclusive del counselor e tanto meno è necessario essere psicologi. Queste qualità dovrebbero diventare patrimonio di tutti ed è auspicabile che ne venga riconosciuta l’importanza in qualsiasi settore d’attività. (Michael Reddy)

Qui di seguito elenco alcuni metodi per facilitare la relazione lavorativa che chiunque può adottare cercando di migliorare giorno dopo giorno (John M. Littrell)

  • Se il problema viene esposto in modo astratto, far si che l’altro fornisca un esempio concreto che si possa esaminare.
  • Frammentare i problemi complicati in piccoli problemi, meglio gestibili.
  • Mentre si ascolta ciò che una persona riferisce, entrare in empatia con i sentimenti che sta provando.
  • Trasformare il monologo della persona in un dialogo, con i mezzi messi a disposizione dal linguaggio, quali ripetere con parole diverse quanto è stato detto, riassumerlo, rilevare i sentimenti espressi. Se sommersi dal monologo, fare in modo che si arrivi al dunque.
  • Attenzione a non parlare troppo ma non stare sempre in silenzio.
  • Se il dialogo non è fruttuoso chiedersi quale di questi fattori ne è la causa:
    Pensieri personali, o sentimenti, o esperienze dell’altro
    Il problema stesso
    Il ruolo di altre persone come i familiari, i colleghi, un superiore
    Il contesto culturale e/o ambientale
    Il rapporto tra lui/lei e voi, e infine
    Voi stessi
  • Entrare nello spirito delle metafore usate dall’altro
  • Capire se chi ci si trova davanti sta “mettendosi in vetrina” lagnandosi o sta chiedendo di cercare attivamente una soluzione. Agire di conseguenza.
  • Organizzare bene ogni incontro
  • Mentre l’altro racconta il problema, chiedere di riferire cosa ha detto ognuna delle persone coinvolte, come fosse la sceneggiatura di un film.
  • Dopo che vi è stata esposta una situazione problematica, trovate le eccezioni al suo interno e valutatele
  • Se non siete sicuri di qualcosa, chiedete: magari l’altro potrà spiegarvi
  • Interrompere con rispetto e con tatto
  • Parlare di meno del problema e di più della soluzione
  • Chiedere: “se il problema minacciasse di non risolversi, cosa penseresti di cambiare, per prima cosa, nel tuo comportamento?”
  • Quando ci sono dubbi sul da farsi, agire per passi, i più piccoli possibile.

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